“Qualunque decisione tu abbia preso per il tuo futuro, sei autorizzato, e direi incoraggiato, a sottoporla a un continuo esame, pronto a cambiarla, se non risponde più ai tuoi desideri”.
Lo diceva Rita Levi Montalcini, ed è una frase quantomai attuale. Solo che, purtroppo, nel caso di specie, le decisioni che abbiamo assunto per il nostro futuro, non sono modificabili solo in base alla rispondenza ai nostri desideri. In questi giorni di ansia e di paura dovuti alla pandemia da Covid-19, si riflette spesso sul futuro che ci attende. Riconquisteremo la nostra normalità, si chiedono molti? Ne usciremo migliori? Alla normalità probabilmente, non torneremo. O comunque, non in tempi brevi. E ci sarebbe da discutere sul concetto stesso di normalità. Sul cambiare pelle dopo il terrore del contagio, sul diventare più umani, più sensibili, più empatici, più generosi e meno individualisti, le opinioni si sprecano e, generalmente, dividono le persone tra apocalittici ed entusiasti ad ogni costo. Vale la pena, a questo proposito, di rileggere uno dei passaggi più famosi di Platone che, nell'Apologia di Socrate, scrive: “Allora capii che veramente io ero il più sapiente, perché ero l'unico a sapere di non sapere, a sapere di essere ignorante. In seguito quegli uomini, che erano coloro che governavano la città, messi di fronte alla loro pochezza, presero a odiare Socrate”. Ecco, forse se acquisiremo la consapevolezza del nostro ignorare, potremmo probabilmente uscirne, se non migliori, sicuramente diversi. E non solo perché come diceva Eschilo, s'impara soffrendo. Ma soprattutto perché acquistare la capacità dell'ascolto dell'altro, senza mai abdicare al proprio senso critico, ma con la necessaria apertura mentale per condividere un punto di vista diverso, potrebbe solamente farci del bene. Soprattutto nel “dopo” che ci attende. Un dopo che non sarà scandito dai nostri ritmi di vita, dai nostri desideri e neppure dalle nostre paure. Forse per la prima volta quel dopo sarà patrimonio collettivo. Un grande spazio aperto da riempire con intelligenza e buon senso e nel quale muoversi con altrettanto buon senso, perché ogni scelta del singolo ricadrà sul resto. In bene e in male. Per certi versi sarà un ritorno alle origini. L'antropologo Paolo Apolito, in una interessante analisi dell'effetto del Coronavirus sulla gente, parla non a caso di come la malattia, in determinate tribù, fosse considerata un evento del corpo sociale e non individuale. Imparare a pensare in forma collettiva, forse potrebbe non solo preservare la nostra salute, ma anche consolidare le nostre relazioni umane. Almeno quelle più vere. Lo psicoanalista Massimo Racalcati sostiene che questo virus cambierà le nostre vite, forse anche peggio di quanto avvenuto l'11 settembre. Abbiamo vissuto un tempo dilatato dall'angoscia. Da un'angoscia diffusa e collettiva. “Siamo di fronte a un'esperienza traumatica. Il trauma è un evento che può colpire un evento individuale, ma anche qualcosa che può coinvolgere dimensioni collettive, avendo ripercussioni profonde nel tempo. La caratteristica del trauma è nel fatto che è sempre inatteso - spiega - Nessuno ha difese nei suoi confronti, perché non era prevedibile, non era affatto nella misura delle cose. E' per questo che scompagina il nostro modo di vivere ordinario, così come accaduto dopo l'11 settembre”. Abbiamo tutti negli occhi le scene di assalto ai supermercati, le bare infilate una dietro l'altra a Bergamo, i corpi senza volto nei reparti delle terapie intensive, le lacrime di chi ha perduto i propri cari senza poterli assistere né tantomeno salutare. Abbiamo tutti assistito all’assalto ai treni di chi non voleva vedersi impossibilitato a lasciare Milano, e tutti abbiamo letto delle divisioni tra Nord e Sud. Per non parlare di medici e infermieri in prima linea o degli americani in fila per acquistare un’arma. Homo homini virus, parafrasando l’espressione latina di Plauto, è il titolo del romanzo di Ilaria Palomba (Meridiano Zero, 2015) che esplora l’individualismo che, come un virus, contagia le società contemporanee. In bilico tra arte e giornalismo, Angelo e Iris sperimenteranno sulla loro stessa carne la crudeltà di un sistema cannibale. Quello che ci auguriamo possa trasformarsi radicalmente.