Prima di frequentare il Liceo Tasso, come molti di voi, sono stata allieva della Scuola Media Tasso, negli ormai lontani anni 90 del secolo scorso. Al contrario delle generazioni che hanno frequentato la scuola media nello stesso edificio del liceo, in piazza S. Francesco, io mi recavo nell'attuale edificio della scuola, in via Iannicelli, rione Carmine, attraversando spesso una via adiacente il cui nome non passava per nulla inosservato ad un'adolescente come me che già allora aveva la testa tra le stelle: Via Paolo Vocca, Astronomo.
Non so voi, ma a me sono sempre piaciute quelle targhe cittadine su cui, oltre al nome, si può leggere anche qualche dato anagrafico del personaggio a cui la strada è dedicata. Deformazione professionale? Già, perché – per chi di voi ancora non mi conoscesse – dopo il liceo, la laurea e il dottorato in astronomia, ho deciso di dedicarmi a tempo pieno alla divulgazione della mia disciplina scientifica, e riconosco in queste informazioni toponomastiche, benché minime, un interessante esercizio di divulgazione che ci invita a tuffarci nel passato della nostra città.
Chi era, dunque, Paolo Vocca, l'astronomo che molti di noi conosceranno quanto meno di nome, essendo passati almeno una volta per la strada a lui intitolata? (Questa strada ospita, fra l'altro, un'altra struttura didattica, la Scuola Primaria Medaglie d'Oro, che alcuni di voi – o forse dei vostri figli e nipoti – hanno probabilmente frequentato.) Qualche anno fa, sfogliando la letteratura scientifica in cerca di storie di astronomi italiani del passato, me lo sono chiesto, e la ricerca mi ha portato a scoprire aspetti interessantissimi sulla sua vita ed attività scientifica, forse poco note a Salerno anche perché la sua carriera si svolse interamente fuori dalla sua città d'origine.
Nato a Salerno il 3 settembre 1896, Paolo Vocca partecipò alla prima guerra mondiale come ufficiale del Genio Minatori e pochi anni dopo, nel 1921, conseguì la laurea presso la Scuola d'Ingegneria di Napoli. Iniziò quindi una prestigiosa carriera che lo vide impegnato in giro per l'Italia, dall'Osservatorio di Pino Torinese alla Stazione Astronomica di Carloforte, situata sull'isola di San Pietro in Sardegna, di cui fu direttore, e poi ancora come astronomo presso la Specola di Brera a Milano e l'Osservatorio di Merate. Nel 1935 rientrò a Napoli, in forza all'Osservatorio di Capodimonte fino al 1950 ed infine come docente di idrografia e geodesia presso l'Istituto Universitario Navale (oggi Università Parthenope) sino al 1954, anno della sua precoce scomparsa.
Riconosciuto dalla comunità astronomica italiana ed internazionale per l'ingegno versatile e a tratti eclettico, Vocca si dedicò ad argomenti disparati, spaziando nei campi dell'astronomia teorica, osservativa e strumentale, e fu autore oltre 50 pubblicazioni scientifiche. Un articolo nelle “Memorie della Società Astronomica Italiana” lo ricorda come cordiale e pieno di entusiasmo verso molteplici discipline, inclusa la tecnologia aerea, il volo interplanetario e la possibilità di comunicare “con le umanità sorelle dei mondi siderei.”
In un'epoca in cui l'astronomia italiana si trovava dinanzi ad un bivio – da un lato, la continuazione di pratiche tradizionali, quali le osservazioni di stelle e pianeti per la misura delle coordinate terrestri e del tempo; dall'altro, la transizione verso campi di studio più moderni quali l'astrofisica e la cosmologia, che si interrogano rispettivamente circa la natura fisica dei corpi celesti e l'Universo sulle sue scale più vaste – l'astronomo di origine salernitana era a pieno agio in entrambe le arene.
Il suo forte restava legato alla cosiddetta astronomia posizionale, con la partecipazione al Servizio Internazionale delle Latitudini, prima a Carloforte e poi a Capodimonte, nonché alle operazioni mondiali di misura delle longitudini, alle quali contribuì in particolare costruendo un nuovo apparecchio radio per la registrazione automatica dei segnali di tempo, più preciso dei precedenti, che fu applicato nel 1929 per determinare la differenza di longitudine tra Milano e Zurigo.
Nel campo delle osservazioni del sistema solare, oltre ad aver compiuto numerose misure delle posizioni del pianeta Giove e delle sue lune, importanti per compilare i cataloghi celesti e pianificare osservazioni a lungo e breve termine, egli osservò una grossa macchia bianca temporaneamente visibile sul disco di Saturno nel 1933. Questa macchia è in effetti una enorme tempesta che viene regolarmente osservata ogni 28 anni e mezzo, durante l'estate dell'emisfero settentrionale del 'pianeta degli anelli', il quale impiega poco più di 29 anni a completare un giro intorno al Sole. Nel corso degli anni, Paolo Vocca osservò anche varie comete, mettendo a nudo nuovi dettagli prima invisibili grazie a una nuova tecnica di analisi delle immagini fotografiche, ed alcuni dei cosiddetti 'pianetini' – oggi più comunemente noti come asteroidi, piccoli corpi rocciosi che si trovano principalmente tra le orbite di Marte e Giove – utilizzando queste osservazioni per migliorare le stime delle loro orbite; inoltre, sviluppò un nuovo metodo per prevedere più rapidamente le occultazioni lunari – ovvero quando la Luna si interpone tra noi ed una stella, nascondendola temporaneamente.
Su scale cosmiche ancora più vaste, Vocca si inserì nella discussione sulla natura delle cosiddette 'nebulose a spirale', effettuando una misura del diametro della nebulosa di Andromeda nel 1935 sulla base di immagini da lui stesso ottenute, oltre dieci anni prima, presso l'Osservatorio di Pino Torinese. Nel 1920, queste nebulose erano state al centro del celebre 'Grande Dibattito' in cui due astronomi statunitensi, Harlow Shapley e Anthony Curtis, si interrogavano circa la distanza di questi oggetti celesti: si trattava di nubi di gas all'interno della nostra (e unica) Galassia-Universo, o di altre galassie al di fuori della nostra, in un Universo ancora più grande? La risposta arrivò pochi anni dopo con Edwin Hubble, che misurò la distanza da Andromeda – circa un milione di anni luce, secondo i suoi calcoli, e quindi molto maggiore della distanza da noi di qualsiasi altra stella – e stabilì che si tratta effettivamente di un'altra galassia, non di una semplice nebulosa. Questa scoperta epocale aprì gli occhi degli astronomi – e del mondo intero – su un immenso universo popolato da miriadi di galassie, ognuna formata da un gigantesco numero di stelle. La galassia di Andromeda, la cui distanza è oggi stimata intorno a 2.5 milioni di anni luce, è la 'vicina' di casa della nostra galassia, la Via Lattea, di cui fa parte il Sole con i suoi pianeti, insieme a centinaia di milioni di altre stelle.
Con tutte le conoscenze astronomiche maturate nel corso del secolo passato, ed in particolare con i rapidi sviluppi degli ultimi decenni, fa quasi fatica pensare che, solo cento anni fa, la natura di stelle e galassie, le distanze cosmiche e le dimensioni dell'Universo fossero ancora un mistero per gli studiosi. Questi concetti fondamentali vennero pian piano a solidificarsi tra gli anni 20 e gli anni 40 del secolo scorso grazie ad una serie di importanti scoperte, le quali a loro volta si basavano sul grande lavoro di analisi dati e classificazione compiuto dalla forza-lavoro astronomica dell'epoca, che in molti osservatori era costituita principalmente da donne. Una di queste astronome, Henrietta Swan Leavitt, che era parte del famoso gruppo delle 'calcolatrici' di Harvard, aveva scoperto tra il 1908 e il 1912 una relazione tra la luminosità e la variabilità di un tipo particolare di stelle, note come Cefeidi, che si rivelò di grande importanza negli anni successivi per misurare le distanze dalle stelle e rendere possibili scoperte quali quelle di Hubble sulla natura delle galassie e, in seguito, sull'espansione dell'Universo.
Anche Paolo Vocca si interessò alla relazione sulle stelle Cefeidi scoperta da Henrietta Leavitt, scrivendo un corposo articolo al riguardo che fu pubblicato nel 1932; all'epoca, l'astronoma statunitense era purtroppo già scomparsa da molti anni, altrimenti i due avrebbero forse potuto comunicare e scambiarsi idee. Scambio che avvenne, invece, con uno dei più grandi scienziati del secolo scorso: Albert Einstein, autore della teoria della relatività. Ad Einstein, Paolo Vocca scrisse almeno due volte nel 1952, chiedendo delucidazioni su alcuni effetti della relatività generale, e ricevendo risposta sotto forma di due lettere, dattiloscritte in tedesco e recanti la firma del grande genio della fisica. Queste lettere sono gelosamente custodite dal nipote dell'astronomo, Helios Vocca, anch'egli scienziato, professore presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Perugia ed esperto di onde gravitazionali – fluttuazioni nel tessuto dello spazio-tempo, predette dalla relatività generale di Einstein nel 1916 e scoperte recentemente, a distanza di un secolo, dagli esperimenti LIGO e Virgo.
È interessante notare una certa continuità tra i discendenti di Paolo Vocca, sia per quanto riguarda i loro interessi professionali che i loro nomi. Helios, il cui nome rievoca il dio greco del Sole, è figlio di Sirio, a sua volta l'unico figlio dell'astronomo Paolo e di sua moglie, la pittrice Carolina Casciaro, il quale ricevette il nome della stella più brillante del cielo e fu ingegnere, nonché per molti anni direttore delle ferrovie complementari della Sardegna.
E dai nomi della famiglia di questo notevole ricercatore originario di Salerno, a me fino a pochi anni fa noto solo per la strada che percorrevo spesso al ritorno da scuola negli anni delle medie, il pensiero va all'idea di intitolare una strada in sua memoria, e alla felice trovata di aggiungere questo piccolo dettaglio al nome sulla targa: astronomo. Chissà di chi fu, a quando risale la dedica, perché fu scelta proprio quella strada. Forse un giorno, quando riapriranno gli archivi, andrò alla ricerca di una risposta a questi interrogativi. I quali richiamano, immediatamente, un'altra domanda: chissà se anche l'illustre astronomo ha frequentato, come noi, il buon vecchio Liceo Tasso? Anche in questo caso, la risposta potrebbe celarsi negli archivi della scuola, e spero di poterla trovare presto.