Sibilla è il nome che fu dato ad alcune donne che si credeva fossero ispirate dalle Divinità e che davano responsi e vaticini.
Ovidio racconta nelle Metamorfosi che Apollo, invaghitosi di una Sibilla, le promise che avrebbe esaudito ogni suo desiderio: la donna prese un pugno di granelli di sabbia e chiese di poter vivere tanti anni quanti erano i granelli che teneva chiusi in mano. Apollo acconsentì, ma la Sibilla aveva fatto un errore: aveva, sì, ottenuto di vivere per tantissimi anni, ma aveva dimenticato di chiedere di non invecchiare! Apollo le offrì, allora, l’eterna giovinezza a condizione di possederla, ma la Sibilla rifiutò l’offerta scellerata a difesa della sua dignità di donna per cui accettò di invecchiare consumandosi pian piano fino a che di lei sarebbe rimasta la sola voce.
Con la diffusione della civiltà greca nel Mediterraneo, le Sibille si unirono a culti locali e assunsero diversi nomi: Cumana, Libica, Delfica ecc…; i loro miti sono complessi ed hanno assorbito aspetti di varie religioni, tanto che gli autori cristiani, basandosi sulla concordanza fra le profezie bibliche e i vaticini degli Oracoli e dei Libri Sibillini, si impossessarono di queste figure vedendo in loro le profetesse della venuta di Cristo. Del resto anche Virgilio nella IV egloga delle Bucoliche, nell’interpretazione cristiana, attribuirebbe alla Sibilla la profezia della nascita di Gesù “nascerà da una Vergine un bambino che riporterà sulla Terra l’età dell’oro”. Le Sibille entrarono, così, a far parte della schiera dei profeti tanto che l’arte le ha immortalate nelle chiese, come è avvenuto, ad esempio, nel Duomo di Siena (le loro figure sono intarsiate nei marmi del pavimento) oppure nella Cappella Sistina o, addirittura, rappresentate in statue in legno ad altezza quasi naturale nel presepe di fine ‘400 conservato oggi al Museo di San Martino a Napoli.
Nel Medioevo le Sibille, grazie alla figura di profetesse che le avevano attribuito i padri della Chiesa, diventarono personaggi importanti nei drammi sacri che si rappresentavano in particolari festività nelle piazze o nelle chiese, assumendo un ruolo da protagoniste. Era un teatro che rappresentava una componente liturgica e didattica, che si esprimeva con dialoghi, musica ed effetti scenografici diretta a far riflettere i fedeli sul messaggio delle Sacre Scritture.
I testi di questi drammi sono quasi tutti scomparsi, ne sono rimasti pochissimi e fra questi c’è il rarissimo testo dello spettacolo recitato in latino, l’ “ORDO PROPHETARUM”, la processione dei profeti, che si svolgeva nella notte di Natale all’interno della CATTEDRALE DI SALERNO, quando veniva letto il Sermone contro i Giudei, i Pagani e gli Ariani, e descritta dal medievalista americano Karl Young in una sua opera di inizio ‘900.
Cerchiamo di immaginare l’atmosfera: è la notte di Natale, nella Cattedrale arabo-normanna è terminata la prima messa, le luci dei ceri e delle candele sui candelabri illuminano i mosaici dell’altare maggiore e rendono più luminosi i marmi delle colonne e più splendenti le formelle d’avorio del paliotto e la grande porta d’ingresso tutta bronzo e argento.
I fedeli attendono con emozione di assistere alla rappresentazione drammatica che inizierà, fra poco, con la lettura del Sermone con il quale si cercherà di convincere Giudei, Pagani e Ariani, attraverso le testimonianze dei profeti, che Cristo è già sceso fra gli uomini ed è veramente l’atteso Messia. La rappresentazione scenica si svolgerà “MORE SALERNITANO”, cioè seguendo la recita tradizionale della Chiesa di Salerno.
Si comincia fra canti e musica sacra che rimbalzano le loro armonie fra gli antichi archi, diffondendosi per tutta la Cattedrale: il lettore del Sermone avanza fra la folla, percorrendo la navata centrale, e sale sull’Ambone di sinistra, detto il Minore, su un cui lato sono scolpite nel marmo le figure dei profeti Geremia ed Isaia che sventolano ciascuno un nastro sul quale è inciso il passo con il quale hanno predetto la venuta del Cristo. Egli interrogherà tredici testimoni che hanno previsto l’Avvento del figlio di Dio e la fine del mondo con Cristo giudice, in modo che i Giudei e gli altri non possano dubitare che il Messia sia già arrivato. I profeti avanzano lungo la navata in corteo nelle loro vesti esotiche, camminando sulle pietre policrome del pavimento, e si fermano uno accanto all’altro nell’attesa di essere interrogati.
Il lettore li chiama uno ad uno e, dialogando con loro in latino, chiede come e quando abbiano predetto l’arrivo del Cristo: il primo è Isaia che ricorda il passo in cui ha detto “una Vergine concepirà un figlio e si chiamerà Emanuele cioè Dio è con noi”.
Il lettore chiama, poi, gli altri testimoni che sfilano, singolarmente, dinanzi all’Ambone Minore: Geremia, Daniele, Mosè, Davide, Abacuc, Simone e Zaccaria che ripetono, ciascuno, le loro frasi profetiche. Dopo viene invitata Sant’Elisabetta che racconta di quando salutò la cugina Maria, incinta, come Madre del suo Signore e di come sentì esultare il figlio che portava in grembo (Giovanni Battista) quando la Madonna le si avvicinò. Segue lo stesso San Giovanni Battista, con la veste fatta di peli di cammello, che ricorda l’incontro con Cristo sul Giordano quando disse: “Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi”. La sfilata continua e arriva Virgilio, considerato anche lui profeta per aver fatto dire alla Sibilla Cumana, nelle Bucoliche, che una nuova progenie sarebbe arrivata dall’Alto; in seguito si presenta il re babilonese Nabucodonosor, nella sua scintillante veste di sovrano, che ricorda di aver visto il Messia in sogno. Ed ecco che per ultima arriva Lei: la Sibilla Eritrea (Eritre era una città della Grecia), il cui lungo e drammatico canto, accompagnato da strumenti musicali, conclude con un apocalittico oracolo la processione dei profeti. La sua voce arcana rimbomba fra le volte della Cattedrale e annuncia i segni della fine del mondo e il giorno del Giudizio Finale, quando il Re dei Re scenderà sulla Terra, accompagnato da eventi eccezionali e prodigi, per dividere i Giusti dai Peccatori “…i corpi di tutti i Santi saranno illuminati dalla luce della libertà e una fiamma eterna brucerà i peccatori… allora vi sarà lutto e tutti faranno stridere i denti. Si oscura lo splendore del sole e cessa la danza delle stelle… e allora la tromba, dall’alto del cielo, farà venir giù un suono lugubre, piangendo la miserabile catastrofe e i vari travagli, la terra sprofonderà e farà vedere il caos infernale e qui dinanzi al Signore compariranno i Re e dal cielo ricadrà un fiume di fiamme e di zolfo”.
In un atmosfera carica di pathos e di tensione religiosa il lettore invocherà Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore e chiuderà il sermone, dicendo “Tu, Domine, Miserere Nobis”.
Questi drammi non sono più recitati da tempo, sono del tutto scomparsi con l’eccezione di quelli che ancora oggi sono rappresentati in Sardegna, in particolare ad Alghero e nelle Isole Baleari, a Palma di Maiorca, dove si svolge ancora la folkloristica rappresentazione religiosa del Canto della Sibilla, come si può vedere ed ascoltare in Rete. La spettacolarità del drammatico Canto della Sibilla, che si recita a Natale a Maiorca, è stata tale che l’UNESCO, nel 2010, ha riconosciuto la manifestazione maiorchina come Patrimonio Orale ed Immateriale dell’Umanità.